La lingua dei provvedimenti giudiziari
Antonella Ciriello, Sara Lembo, Gian Luigi Gatta
Federigo Bambi
Il corso, organizzato in collaborazione con l’Accademia della Crusca, rappresenta un appuntamento tradizionale dell’attività̀ formativa. L’intento è quello di fornire ai magistrati suggerimenti per affinare la tecnica di scrittura argomentativa, sia nella redazione degli atti e dei provvedimenti interlocutori, sia nella elaborazione della sentenza. Come scrivono i giudici? Questo l’interrogativo da cui partire. Alcuni linguisti considerano il linguaggio dei giudici il più̀ temibile ma, allo stesso tempo, il più̀ importante per lo Stato e per la collettività̀. Per questa ragione, la Scuola superiore, sin dal suo esordio, ha privilegiato la scelta di approfondire il linguaggio giuridico: la formazione professionale senza tecnica espressiva è arte priva della sua concretezza ed efficacia. Il tema – come è noto – è molto di attualità̀ ed esiste in materia una ormai sterminata bibliografia, composta in larga parte da documenti degli stessi organismi giudiziari nazionali ed europei (una ricca documentazione può̀ essere rinvenuta, fin d’ora, nel sito della Scuola, come risultato del corso sullo stile delle sentenze tenuto già nel 2017). La lingua nemica della chiarezza, satura di formule burocratiche, quella che Calvino definiva “l’antilingua”, troppo spesso cela una enorme distanza tra chi scrive e gli interlocutori, quasi a voler innalzare barriere anziché́ comunicare. Il linguaggio giudiziario, caratterizzato per lo più dalla tecnica di scrittura argomentativa, dovrebbe avere lo scopo di essere chiaro e diretto pur nella esigenza di utilizzare la terminologia appropriata al diritto. È quasi superfluo notare che “semplificare il linguaggio” non vuol dire in alcun modo cedere alla tentazione della sua banalizzazione, né rinunciare al necessario specialismo che è insito nella sua natura giuridica. L’obiettivo del corso è dunque quello di divulgare l’uso di un linguaggio scritto che non si caratterizzi per l’eccesso delle formule, la ridondanza vana dell’espressione, la complicazione della sintassi, l’abuso delle parentetiche o persino l’uso erroneo della punteggiatura o il ricorso ad un vocabolario raro e ricercato. Modalità di scrittura di questo genere, affidate a un periodare complesso e sin troppo ricercato, contrastano con l’esigenza dell’atto giudiziario di farsi comprendere dai suoi destinatari e, in ultima analisi, dai cittadini affinché́, dalla lettura delle sentenze, possano trarre preziosi spunti di analisi, da divulgare nei vari ambiti sociali interessati dalle decisioni giudiziarie. Il corso avrà̀ carattere prevalentemente seminariale. Dopo poche relazioni frontali, il lavoro proseguirà̀ in gruppi, che studieranno su testi già̀ selezionati (per riscontrarne i difetti) o su altri testi da comporre, discutendo fattivamente su esempi tra magistrati, studiosi del diritto e linguisti. In conclusione, non è possibile insegnare con esattezza come scrivere perché́ lo scritto si nutre anche di stile personale, abbinato non tanto alla mano ma alle idee di colui che scrive. Al contrario, si può̀ insegnare come non scrivere e quali sono gli errori da evitare: per fare pratica l’unico esercizio è quello di prendere un documento scritto, di leggerlo e di individuare le parole e le frasi fuori posto, per poi scriverlo nuovamente con un linguaggio chiaro e preciso. Dunque: rileggere e riscrivere.


Tavola rotonda
Mirella Cervadoro ()